Dice bene Gabriele Gravina quando fa notare che non bastano i due mesi che ci separano dall'esordio in Nations League (il 6 settembre a Parigi) per progettare una rivoluzione. La disfatta di Berlino sottolinea la natura strutturale dei problemi della Nazionale – anche se, come succede sempre, non sappiamo resistere alla tentazione di drammatizzare sulla base di una singola partita, strapiena di tutti gli episodi e le sliding doors che ogni paio d'ore di pallone porta con sé.  Se l'auto-palo di Schar fosse finito cinque centimetri più a sinistra e magari avesse innescato una reazione d'orgoglio in quel che restava dell'Italia, staremmo facendo altri discorsi? Probabilmente sì, così come avremmo anticipato quelli di oggi senza il gol di Zaccagni al 98'.

 

Il filo conduttore dell'Europeo 2024 dell'Italia è stato l'affanno, il disagio di ritrovarsi in un vestito diverso da quello che la maggior parte di questi giocatori è abituato a indossare nei club. Il primo degli otto tempi disputati dagli azzurri in Germania è iniziato con un gol regalato all'Albania dopo 23 secondi a partire da una rimessa laterale a nostro favore; l'ultimo è iniziato con un gol regalato alla Svizzera dopo 26 secondi dal calcio d’inizio. L'affanno intossica la testa come le sirene di Ulisse e chiama l'errore: quanti passaggi sbagliati, anche con metri di campo libero, abbiamo visto sabato? Di Lorenzo, tra i più in difficoltà, è incespicato almeno due volte su un campo che doveva sembrargli paludoso. Potere dell'affanno, mentale ancora prima che fisico, perché decine di mental coach ormai ci hanno insegnato che la stanchezza è un discorso di gambe che però parte sempre dalla testa.