Il fascino sfacciato dell'autogol: venti in due Europei, e non è ancora finita...
Lo diceva anche Stefano Bizzotto ieri sera, a un certo punto di Portogallo-Slovenia: il capocannoniere di Euro 2024 si chiama “Eigentor”, autorete in tedesco. Nove in tutto, ovvero tutti i gol sommati dei tre attuali capocannonieri, il georgiano Mikautadze, lo slovacco Schranz e il tedesco Jamal Musiala, l'unico che può ancora rimpinguare il bottino. Nulla di nuovo: nell'edizione di tre anni fa furono addirittura undici, e si estesero dalla prima partita del torneo (Demiral contro l'Italia, propiziato da Berardi) fino alla seconda semifinale di Wembley Inghilterra-Danimarca, con il milanista Kjaer che nel tentativo di anticipare Kane infilò la porta dell'amico Schmeichel. Curiosamente, però, questa strana sindrome non si applica ai Mondiali: a Qatar 2022, nonostante un numero di partite ancora superiore, furono appena due. C'è dunque un vento cattivo che scuote solo l'Europa?
L'analisi dettagliata dei nove harakiri di Euro 2024, alcuni dei quali dolorosamente decisivi per un passaggio del turno (ultimo è l'esperto Vertonghen, che in Francia-Belgio ha corretto in rete un tiraccio di Kolo Muani destinato chissà dove), fa emergere un comun denominatore: una buona maggioranza fa riferimento a squadre in affanno, a difensori ansimanti che sotto pressione commettono l'errore fatale in una frazione di secondo. Qualcuno è vittima di un rimpallo con il proprio portiere, come Hranac usato come sponda da flipper in Portogallo-Repubblica Ceca o Calafiori mandato fuori tempo dalla leggera deviazione di Donnarumma in Spagna-Italia; qualcun altro si spaventa in coppia come il duo Danso-Wober che sul cross di Mbappé in Austria-Francia si sono mossi in maniera innaturale, propiziando l'autogol del secondo. Infine, qualcuno ha proprio la testa tra le nuvole come il povero Akaydin, cui spetta il primato di autorete più comica a metà primo tempo di Portogallo-Turchia.
Non c'è dubbio che il ritmo del calcio continui vertiginosamente a salire, non sempre andando di pari passo con la pulizia tecnica di chi frequenta le aree di rigore (a proposito, volete saperne un'altra? L'ultimo giocatore ad aver segnato su punizione diretta rimane Mikkel Damsgaard in Inghilterra-Danimarca, semifinale Euro 2020). Questo vale tanto per gli attaccanti quanto per i difensori, anche di alto livello come il tedesco Rudiger o lo spagnolo Le Normand, che l'anno prossimo si affronteranno nel derby di Madrid ma in questo Europeo sono accomunati anche dal -2 al Fantacalcio ricevuto in una partita stradominata, in cui sono riusciti a fare ciò che a Scozia e Georgia non era praticamente mai riuscito: calciare nello specchio della porta – anzi non esattamente calciare, visto che le loro deviazioni assassine sono arrivate di testa e di bacino, brutte sporche e cattive, che poi è il tratto distintivo di tutte le autoreti di tutte le epoche.
Scriviamo queste righe nelle ore in cui il calcio italiano piange Comunardo Niccolai, difensore del Cagliari dello scudetto ingiustamente celebre nella cultura popolare per il vizio delle autoreti, peraltro praticato con una certa morigeratezza: appena cinque in Serie A, tre in meno di Riccardo Ferri che come c'insegna Luciano Ligabue detiene il record di autogol. A quei tempi, peraltro, i tabellini erano molto più severi con i difensori: bastava un comune calcio di punizione deviato in rete dalla barriera per finire dietro la lavagna. Oltre che per l'aspro nome di battesimo, che evocava sofferenza e fatica (proprio come un difensore asserragliato in area che si fa autogol), le gesta di Niccolai entrarono nell'immaginario collettivo anche perché contenevano, a loro modo, una certa spettacolarità: basta limitarsi al suo autogol più famoso, quello che stappò Juventus-Cagliari 2-2 del 15 marzo 1970, una delle partite più deliranti della storia della Serie A. Si era avventato di testa su un cross da destra anticipando clamorosamente il proprio portiere Albertosi, il tutto immortalato dalle telecamere RAI con un primordiale effetto slow-motion che rendeva la scena simile a un documentario del National Geographic. La fallibilità del difensore, la crudeltà del pallone: tutto in tre secondi, il tempo di un rimbalzo, di un colpo di nuca, di un rimpallo di stinco, e sei condannato per sempre.