Nello sport ci sono molte storie che, con il passare del tempo, assumono i contorni della leggenda. Esse si arricchiscono di aneddoti e diventano simboli popolari e politici, trascendendo la verità storica dei fatti. È il caso di Jesse Owens, atleta diventato immortale per aver vinto ben quattro medaglie alle Olimpiadi del 1936, tenutesi in Germania sotto gli occhi di Adolf Hitler. Secondo la leggenda, dopo la vittoria di Owens, il Fuhrer abbandonò lo stadio infuriato, rifiutandosi di stringergli la mano e congratularsi con lui. In realtà però le cose andarono diversamente. 

 

Le Olimpiadi di Berlino 1936 di Jesse Owens

 

Non era un segreto che la Germania avesse voluto fortemente ospitare le Olimpiadi del 1936 per dimostrare l’eccellenza, fisica ma non solo, degli sportivi tedeschi e per celebrare il proprio regime. Hitler spese miliardi di marchi per costruire o ristrutturare impianti, stadi e palazzi per ospitare l’evento oltre che allestire gigantesche coreografie che mostrassero la potenza organizzativa tedesca. La stessa cura fu posta nella preparazione degli atleti, a cui non era consentito fare brutta figura. Il successo sportivo era visto infatti come veicolo trainante e fondamentale per la propaganda nazista. 

 

Proprio per queste idee in molti, negli Stati Uniti, avevano pubblicamente chiesto di boicottare le Olimpiadi del 1936, in quanto Hitler aveva già mostrato un regime dittatoriale, illiberale e antisemita. Il boicottaggio però fallì, ma uno sguardo critico fu comunque garantito da diversi giornali internazionali, che sottolinearono il successo di diversi atleti proprio per screditare le sue tesi razziste. E tra questi c’era Jesse Owens

 

Il trionfo di Jesse Owens e le quattro medaglie d’oro

 

Jesse Owens, negli Stati Uniti, era conosciuto ben prima delle Olimpiadi del 1936. Nato il 12 settembre 1913 a Oakville, in Alabama, era figlio di un povero agricoltore del sud e aveva ben nove fratelli. Cominciò a gareggiare da giovanissimo in diverse discipline. Nel 1935, durante una gara universitaria, mise in scena quelli che sono stati definiti come “i migliori 45 minuti dello sport mondiale”. Owens riuscì infatti a battere cinque record del mondo e ne eguagliò un sesto, con uno di questi, conquistato nel salto in lungo (otto metri e tre centimetri), che rimase imbattuto per 25 anni. 

 

Insomma, Owens arriva a Berlino a soli 23 anni ma con tante aspettative e speranze sulle sue spalle. E certamente non delude le attese: il 3 agosto Owens vince una storica medaglia d’oro nei 100 metri durante il secondo giorno delle Olimpiadi di Berlino. Il 4 ne conquista un’altra nel salto in lungo e il 5 un’altra ancora nei 200 metri. Il 9 agosto, infine, arriva il quarto oro nella staffetta 4x100. Quest’ultima era una gara a cui Owens non era nemmeno iscritto, poiché oramai sazio di successi. Voleva far gareggiare e vincere le riserve, ma non gli fu permesso dalla dirigenza americana. 

 

L’oro nei cento metri del 3 agosto, in particolare, ha alimentato le leggende sulla presunta ira di Hitler. Il Fuhrer, in realtà, non fu così infastidito dalle vittorie dell’atleta statunitense, ma è vero anche che il primo giorno delle Olimpiadi, Hitler non solo non strinse la mano a Jesse Owens, ma non si congratulò con nessuno che non fosse tedesco. 

 

A quel punto intervenne il Comitato Olimpico, che comunicò a Hitler come questo comportamento non fosse accettabile né tantomeno consentito, in quanto i leader della nazione ospitante dovevano rimanere sostanzialmente neutrali. Le alternative, quindi, erano stringere la mano a tutti gli atleti in gara oppure non stringerla a nessuno. E quando Owens, al secondo giorno di gare, vinse l’oro nei 100 metri, Hitler aveva già scelto la seconda opzione. Negli anni successivi Jesse ricordò in diverse interviste che Hitler lo salutò da lontano con la mano e lui rispose allo stesso modo. Qualche giorno dopo la vittoria, Owens ricevette addirittura un regalo dal Fuhrer: un suo ritratto firmato. 

  

Gli anni successivi 

  

Dopo i trionfi di Berlino, Jesse Owens cambiò diversi lavori, di cui uno sempre che avesse a che fare con lo sport. Fu infatti per un periodo il preparatore degli Harlem Globetrotters, la fantastica squadra di basket americana, con cui a volte scendeva in campo per dimostrazioni dello scatto dai blocchi e della tecnica di passaggio degli ostacoli. Dopodiché lavorò in una pompa di benzina e partecipò a veri e propri spettacoli in cui gareggiava contro cavalli, cani, motociclette o contro altri atleti dandogli, però, un netto vantaggio sulla distanza da correre. 

 

La sua vita cambiò quando, una volta ritiratosi dall’atletica, fondò un’azienda che organizzava conferenze e forniva strumenti motivazionali alle aziende commerciali. Il successo economico arrivò in questi anni, mentre il primo vero riconoscimento per le sue imprese sportive ci fu con il presidente Gerald Ford, dopo essere stato ignorato da Roosevelt e dal suo successore Harry Truman. Nel 1976, Ford gli assegnò la Medaglia per la Libertà, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti, e venne insignito del collare d’argento dell’Ordine Olimpico per la sua lotta al razzismo. Quattro anni dopo, nel 1980, morì a causa di un tumore ai polmoni.