Carlo Mazzone se n’è andato, ma la verità è che non se ne andrà mai: l’ex allenatore (tra le altre) di Roma, Brescia, Cagliari e Ascoli lascia un vuoto immenso, ma anche tanti aneddoti, tanti ricordi, tante frasi indelebili. Sì, perché Mazzone è stato un personaggio fondamentale del nostro calcio, una vera e propria icona della Serie A. Ha allenato per quasi quarant’anni (dal 1968 al 2006), ha girato mezza Italia, ha lasciato ovunque un’impronta nitida, che non se ne andrà mai.

 

Compianto non solo dalle sue ex squadre, ma da tutto il calcio italiano, Mazzone negli ultimi giorni è stato ricordato in Serie A, sui giornali, nelle chiacchiere al bar. Come accennato, “Sor Carlo” ci ha lasciato anche tante frasi celebri: quali sono state nello specifico quelle più famose? Ecco di seguito una carrellata delle uscite più memorabili di Mazzone.

 

Le frasi più celebri di Carlo Mazzone

 

Sugli arbitri: “Dicono che gli errori degli arbitri cor tempo se compensano. Allora dico: fate presto perché io sto quasi per anda’ in pensione e sto sempre in rosso”

 

Su Baggio: “Era puntuale, serio e la domenica mi faceva vincere. C'era un patto con lui. Non mi piaceva che quando si andava in trasferta i tifosi invadevano l'albergo e lui non aveva un attimo di respiro. Un giorno gli dissi: Quando sei stanco di firmare autografi, ti tocchi la testa e io intervengo. Ma lui non si toccava mai la testa e allora sbottai: Aho, ma non ce l'hai una testa?. Lui mi rispose: Mister, come posso deludere gente che ha fatto centinaia di chilometri per incontrarmi?

 

Sempre su Baggio: “Gestirlo è stata una passeggiata. Era un amico che mi faceva vincere la domenica”.

 

Sul paragone con Trapattoni: “Dicevano che Mazzone è il Trapattoni dei poveri. Rispondevo: amici miei, Trapattoni è il Mazzone dei ricchi”.

 

Sul suo fratello gemello immaginario: “Per sdrammatizzare dico sempre che io ho un fratello gemello che arriva a mezzogiorno della domenica e prende il posto mio. Me dice: Tu giovanotto hai fatto quello che dovevi fare in settimana, adesso in panchina ci vado io perché io ho un’altra carica. Io gli lascio il posto, ma lui ogni tanto me fa casini”.

 

Sul modulo utilizzato: “Mi piace il tridente, ma guai a farlo diventare stridente”.

 

Altra uscita memorabile: “Come diceva mio padre, me devono solo imparà a morì!”.

 

Sugli anni di Pirlo a Brescia: “Lo arretrai e lo piazzai davanti alla difesa, gli spalancai un mondo nuovo. Era il suo ruolo, era lì che doveva giocare. Prima era un trequartista come tanti, diventò il regista più forte del mondo. Ma non per merito mio, eh: parliamo di un campione assoluto, uno che ha il calcio nel dna, sarebbe successo comunque. Era già allora uno che comandava il gioco, lo «vedeva» prima degli altri”.

 

Sul suo tifo per la Roma: “Battere la Roma? È mio dovere provarci, ma è come uccidere la propria madre”.

 

Sull’utilizzo del fallo tattico: “Il fallo tattico è il cugino della simulazione”.

 

Su Totti: “Per me è un grande piacere, per l'uomo, perché oltre ad essere un grande campione, che sta facendo e ha fatto la storia della Roma, Francesco è una persona splendida che si merita, umanamente, tutti i traguardi che ha raggiunto. Nel mio periodo sulla panchina della Roma Totti mi ha dato grandi soddisfazioni. Io ho avuto da subito la sensazione che fosse uno dei migliori, ma l'ho nascosto, non ho avuto pubblicamente grandi slanci nei suoi confronti: Roma è una città molto difficile calcisticamente e ho sempre avuto l'istinto di difenderlo, tenendo per me le idee che avevo su di lui. È stato un onore essere stato il suo allenatore”.

 

Su tecnica e tattica: “La tecnica è il pane dei ricchi, la tattica è il pane dei poveri”.