2 marzo 1962, Herchey Sports Arena di Hershey, Pennsylvania. Una normale partita di regular season della NBA divenne la partita della leggenda. I Philadelphia Warriors ospitano i New York Knicks, in un match che si concluderà con il punteggio di 169 a 147 in favore dei padroni di casa. A oggi è la nona partita con il più alto numero di punti segnati, la quarta tra quelle concluse ai tempi regolamentari. Apparentemente nulla di eccezionale, se non fosse che in quella partita Wilt Chamberlain, il lungo di Philadelphia, mise a segno 100 punti. Una prestazione ancora senza eguali, impreziosita dal fatto che, all’epoca, non c’era ancora il tiro da tre punti.  

  

Andiamo a rivivere quella clamorosa partita. Non ci sono testimonianze video, ma fu raccontata in ogni modo dagli addetti ai lavori e questo ci permette di ricostruire quanto accaduto.  

  

Chi era Wilt Chamberlain  

  

Nato il 21 agosto 1936, Wilt Chamberlain è ricordato come uno dei centri più forti della storia della NBA. 216 centimetri per 125 chili: un fisico imponente che gli permise di dominare in tutti i campi, con statistiche da record. Nel 1962 era al terzo anno in NBA e, nei primi due anni, aveva fatto già vedere cose importanti chiudendo rispettivamente con 37.6 e 38.4 punti di media.  

Cardine dell’attacco dei Philadelphia Warriors, la strategia di Frank McGuire per quella stagione era di tenerlo più a lungo possibile in campo, affidandogli i due terzi dei possessi della squadra. Non a caso fino al giorno del match contro i Knicks, aveva saltato solamente 8’33” della stagione, in seguito a un’espulsione per doppio tecnico.  

  

Verso la partita della storia  

  

C’è un grande paradosso attorno alla partita dei 100 punti di Wilt Chamberlain. All’epoca l’NBA, che viveva la sua 16esima stagione, faticava ad affermarsi nel variegato mondo della pallacanestro americana, tanto che il college basket era ben più seguito negli Stati Uniti. Non è un caso, quindi, che non ci fosse copertura televisiva per quella partita che, tra l’altro, arrivava a ridosso della fine della Regular Season, con i giochi per i play-off già fatti: i Philadelphia Warriors (la cui franchigia l’anno seguente si sarebbe trasferita a San Francisco, dando via al processo che porterà alla nascita dei moderni Golden State Warriors), erano certi del secondo posto, mentre i Knicks erano all’ultimo posto. Al palazzetto c’erano circa 4mila spettatori, accorsi principalmente per assistere a un’esibizione dei Philadelphia Eagles che precedeva il match. Non erano presenti giornalisti della stampa di New York.  

 

Wilt Chamberlain viaggiava a più di 50 punti di media in stagione e, nel suo bagaglio, aveva già una prestazione da 91 punti ai tempi del college, su un minutaggio di gara ridotto. In molti erano convinti che avesse tutto per raggiungere quel traguardo, anche perché nella lega non c’erano giocatori in grado di contrastarlo per stazza.  

  

La paura dei tiri liberi e la tecnica underhand 

  

In dichiarazioni successive alla partita, coach McGuire dirà che non avevano pensato una strategia particolare anzi, non si immaginavano che proprio quel giorno Chamberlain potesse raggiungere la tripla cifra.  

 

Al termine del primo quarto, con i Warriors avanti 42-26, il lungo aveva già messo a segno 23 punti, ma la notizia che faceva più scalpore era il suo 9/9 ai tiri liberi. La linea della carità era il tallone d’Achille di Wilt, ma aveva lavorato duramente per migliorare in quella specialità. La sua dominanza lo rendeva spesso bersaglio degli avversari e la sua poca precisione, spesso, rappresentava la strategia ideale per fermarlo. Proprio per questo, Chamberlain aveva iniziato a provare a tirare i liberi dal basso, con un movimento ‘underhand’ decisamente inusuale (maestro in questo fu Rick Barry che, tirando così, chiuse la carriera con una percentuale che sfiorava il 98%), che gli permise di migliorare le percentuali.  

  

La svolta nel secondo quarto  

  

Le squadre andarono al riposo lungo sul punteggio di 79-68. Wilt Chamberlain aveva messo a segno già 41 punti e, nello spogliatoio, la guardia Guy Rodgers propose di passare sempre la palla a lui per vedere quanti ne avrebbe fatti alla fine. Il coach fu d’accordo.  

 

Così il terzo quarto fu un vero e proprio one-man-show. Chamberlain lo chiuse con 69 punti, malgrado gli avversari, compresa la tattica, spesso si trovavano a triplicarlo o, addirittura, quadruplicarlo. L’inerzia della partita non cambiò: a 7’51” dalla conclusione della partita, con il palazzetto che iniziava a sognare l’impresa, realizzò il 79esimo punto, abbattendo il precedente record da lui realizzato. La quota 100 sembrava alla portata.  

  

Il record  

  

I tifosi incitavano la squadra a passar la palla a Chamberlain e anche i compagni di squadra volevano aiutarlo. Tuttavia, i New York Knicks provarono in ogni modo a mettersi in mezzo iniziando a far falli sugli altri giocatori, per impedire a Wilt di tirare. Ma non c’era verso di fermarlo e, a 1’19” dalla sirena, York Larese alzò la palla in lob e Chamberlain la schiacciò: punto numero 98.  

 

L’assenza di immagini ha creato diatribe su come venne realizzato il centesimo punto. Quel che è certo è che, in azione di contropiede, Ruklick rinunciò a un facile lay-up per passare la palla a Wilt Chamberlain. Non si seppe se fosse un alley-oop o meno, ma quel che conta è che a 46 secondi dalla fine, venne realizzato il punto numero 100.  

 

Il risultato finale della partita passò in secondo piano. Rapidamente la notizia dei 100 punti di Chamberlain fece il giro di tutta la nazione. Da allora sono passati 61 anni e nessuno è mai riuscito a eguagliare questo primato. Ci andò vicino Kobe Bryant, ma si ‘fermò’ a 81 punti.  

 

Wilt Chamberlain giocò tutti i 48 minuti di quella partita, chiudendola con 36 su 63 dal campo, 28 su 32 ai liberi e 25 rimbalzi. Una giornata indimenticabile per lui e per tutta la pallacanestro