Se l’esperimento della Superlega, nata e morta nella primavera del 2021, ci ha insegnato qualcosa è che il calcio europeo si è livellato verso l’alto. I club hanno bisogno di introiti sempre maggiori, perché maggiori sono le spese. L’ingresso sceicchi e fondi sovrani ha drogato completamente il mercato. I grandi club, per competere, non possono più contare sulla propria storia o su una tradizione vincente, ma devono alzare il proprio livello di investimento, finendo per accumulare un debito che gli introiti garantiti dalla Uefa non sono capaci, ovviamente, di mantenere.

 

La parabola della Superlega però ci ha insegnato anche che i tifosi, motore indispensabile dell’industria, non hanno alcuna intenzione di rinunciare al romanticismo che, ogni tanto, accompagna stagioni magiche, in cui un outsider si scopre vincente, riuscendo a battere e sovvertire lo status quo. Come potrebbe esistere un Leicester che vince la Premier League in un mondo dominato da una Superlega? Una squadra data vincente 500 a 1, una quota più alta, per capirci, rispetto a quella assegnata alla possibilità che Bono, cantante degli U2, diventasse papa. Ma oltre alle Foxes di Ranieri, quali sono le imprese più assurde e impensabili della storia del calcio?

 

Gli underdog della Serie A

 

Il nostro viaggio tra le imprese del calcio europeo parte dall’Italia, e dal Veneto in particolare. Nel 1984 Verona era una città operaia, in cui il pallone era in primis una passione popolare e in cui le ambizioni erano per una salvezza tranquilla. L’Hellas di Osvaldo Bagnoli però andò molto oltre, riuscendo a conquistare, nella stagione 1984-85 uno storico scudetto, l’unico della storia scaligera. Dopo una partenza sprint, il Verona subì la rimonta dell’Inter, con cui battagliò per lungo periodo fino alla penultima giornata, quando un 1-1 sul campo dell’Atalanta bastò per proclamarsi campione d’Italia. Quel titolo è rimasto indelebile nella memoria sportiva della città, e considerato l’ultimo vero scudetto di provincia. 

 

Una storia per molti versi analoga si verificò sei anni dopo, quando la Sampdoria conquistò il titolo 1990-91. Il presidente Mantovani aveva creato una squadra di stelle con investimenti fuori scala per una squadra di classe media e si era affidato a un guru della panchina come Vujadin Boskov. La coppia d’attacco fece il resto: Roberto Mancini e Gianluca Vialli sono rimasti iconici per feeling e percezione del compagno, tanto da essere ricordati come “i gemelli del gol”. I blucerchiati mettono in fila il Milan di Sacchi e il Napoli di Maradona, staccando nel lungo periodo anche l’Inter di Matthäus. L’anno successivo la Samp andò vicina a un’altra grande impresa, sfiorando la vittoria della Champions League (allora Coppa dei Campioni) 1991-92. I blucerchiati si arresero a un gol da fuori area di Koeman, che regalò al Barcellona di Cruijff la prima Champions della sua storia e segnò la fine del ciclo vincente doriano.

 

Il maledetto Nottingham Forest

 

Prima che la Premier diventasse il campionato più bello (e ricco) d’Europa, prima ancora del Leicester di Claudio Ranieri, ci fu un’altra squadra che fece la storia. Probabilmente la conoscete già, grazie a un film che è diventato un cult: “Il maledetto United”, pellicola che ripercorre la storia di Brian Clough, immortale allenatore inglese che nel 1978 vinse un clamoroso scudetto con il Nottingham Forest. Si tratta di una delle squadre più antiche d’Inghilterra che, secondo la leggenda, nacque da un dissidio tra fratelli. Nel 1862 un tale Richard Daft fondò il Notts County, tre anni dopo suo fratello più giovane, con cui non andava molto d’accordo, diede vita al Nottingham, che prese il nome di “Forest” in quanto si allenava nella mitologica foresta di Sherwood. Si tratta, in pratica, dell’equivalente calcistico della fondazione di Roma.

 

La storia stessa del Nottingham, insomma, è un condensato di mito e storia, che tocca il suo apice con Clough. Brian riesce prima a riportare il club nella massima lega inglese e poi, da neopromossa, a vincere il campionato nel 1978. Il suo ciclo vincente non finì lì: il Forest vinse due Coppe dei Campioni consecutive, sollevando anche la Supercoppa europea contro il Barcellona. Il declino che ne seguì, con la squadra che sprofondò nelle serie minori, fu inevitabile, ma il ricordo è stato tramandato anche alle nuove generazioni di tifosi, tanto che, dagli spalti del City Ground, ogni sabato si alza il coro, rivolto al settore ospiti: “Champions of Europa, you’ll never sing that!”, “Campioni d’Europa, voi non lo canterete mai!”.

 

Underdog di Germania: i miracoli in Bundesliga

 

La Bundesliga, negli ultimi anni, è stata dominata dal Bayern Monaco, che nell’ultima stagione ha festeggiato il suo undicesimo titolo consecutivo. Nel tempo però anche il campionato tedesco ha avuto le sue outsider vittoriose, come il Kaiserslautern nel 1997-98. Il club, dopo annate molto positive ed entusiasmanti cavalcate europee retrocesse nel ’96 (pur consolandosi con la vittoria, nello stesso anno, della Coppa di Germania). La rinascita di uno dei club fondatori del campionato tedesco fu affidata a Otto Rehhagel, sergente di ferro che, in poco tempo, i tifosi ribattezzarono “Saint Otto”.  

 

Da dove nasce quel soprannome? Il Kaiserslautern prima ottenne l’immediata promozione in Bundesliga e poi, da neopromossa, vinse il campionato, anche grazie al talento in ascesa di un giovanissimo Michael Ballack. Quei tempi però sono ormai lontani, con il club è caduto di nuovo, sprofondando nella Serie C tedesca.

 

Nel Wolfsburg della stagione 2008-09 c’erano Andrea Barzagli, Cristian Zaccardo e soprattutto Edin Dzeko, che quell’anno formò una devastante coppia d’attacco con il brasiliano Grafite (con 54 reti complessive in due è tuttora il tandem d’attacco più prolifico che la Bundes abbia mai avuto). In panchina Felix Magath era riuscito a dare ordine a un club che galleggiava costantemente a metà classifica, finendo spesso immischiato nella lotta salvezza. Il miracolo sportivo arrivò nell’annata 2008-09, quando il Wolsfburg, con dieci vittorie consecutive, sale dal nono posto fino al primo, a pari merito con il Bayern Monaco. Lo scontro diretto alla Volkswagen-Arena finisce con un clamoroso 5-1 per i padroni di casa, che a fine anno si laureano per la prima, e unica, volta nella loro storia campioni di Germania.

 

Gli underdog agli Europei di calcio

 

Ma i “miracoli” sportivi non riguardano soltanto le squadre di club. Anche tra le Nazionali ci sono state, nel corso del tempo, cavalcate storiche. Una di queste fu senza dubbio quella della Danimarca negli Europei del 1992. I danesi non erano nemmeno riusciti a qualificarsi, ma poi la Jugoslavia venne squalificata a causa della guerra dei Balcani e furono ripescati. In panchina c’era Richard Moller Nielsen, vicino all’esonero prima della gloria. Il ct danese dovette fare i conti con lo strappo, poi ricucito, dei fratelli Laudrup, con cui litigò furiosamente durante le qualificazioni, mentre poteva contare sull’“italiano” Elkjaer (protagonista dello storico scudetto del Verona di Bagnoli) e su Peter Schmeichel, portiere appena approdato al Manchester United. La Danimarca passò il girone dopo essere stata a un passo dall’eliminazione e superò in semifinale l’Olanda “milanista” di Van Basten, Gullit e Rijkaard. In finale i danesi battono 2-0 la Germania campione del Mondo e uno degli eroi di quella partita, Kim Vilfort, riassunse il percorso in una frase: “Non potevamo fallire perché non c’erano aspettative su di noi”.

 

Se può esistere una storia ancora più pazzesca, è quella della Grecia agli Europei del 2004. Per risollevarsi da uno dei periodi più bui della sua storia, la Federazione decise di affidarsi a un tecnico tedesco, noto per imprese impossibili: Otto Rehhagel. Proprio quel Rehhagel che portò il Kaiserslautern alla clamorosa vittoria della Bundesliga 1997-98. Nei gironi di qualificazione la Grecia riuscì ad arrivare addirittura davanti alla Germania, staccando il pass per la rassegna continentale 24 anni dopo l’ultima volta. Nella gara inaugurale i greci batterono il Portogallo padrone di casa (una squadra con in campo Figo, Deco, Rui Costa e un giovane Cristiano Ronaldo), superando un girone che comprendeva anche la Spagna. Ai quarti eliminarono i campioni in carica della Francia, e in semifinale la Repubblica Ceca di Nedved, grazie al silver gol, l’ultimo della storia, del romanista Dellas. In finale la Grecia ritrova il Portogallo, che a fine partita conterà 16 tiri in porta contro i quattro greci. Il risultato è 1-0, gol dell’immortale Aggelos Charisteas. Il suo colpo di testa regala alla Grecia calcistica un nuovo, meraviglioso, poema epico.