Maradona di Kusturica è la cosa da vedere su di lui
Diego Armando Maradona non è stato solo il calciatore più forte della storia, ma anche icona celebrata e carismatica, capace di gestire con grande naturalezza telecamere, giornalisti, dichiarazioni mediatiche ed apparizioni in televisione.
Sulla sua ascesa, la sua caduta, la sua intera carriera sono stati girati tantissimi docufilm, film, documentari: abbiamo scelto di celebrarlo parlando dell’opera di Emir Kusturica, raffinato regista jugoslavo – poi naturalizzato serbo. Ha girato un docufilm complesso, che celebra Maradona calciatore e ne indaga la complessità.
Maradona e Kusturica a Cannes
Il docufilm “Maradona by Kusturica” dura 90 minuti come una partita di calcio: è uscito il 30 maggio 2008, dopo 5 mesi di convivenza con l’ex giocatore leggendario, tra Buenos Aires, Napoli, Belgrado. Kusturica presenta il suo Maradona a Cannes (dove ha già vinto la Palma d’Oro per due volte) fuori concorso il 20 maggio 2008.
Maradona di Kusturica: il documentario da vedere
Kusturica dipinge Maradona, non lo filma solo. Racconta il passato glorioso da calciatore, ma riesce anche a riprodurre con occhio crudo il Maradona cocainomane, straziante per la famiglia e per le figlie piccole. Kusturica accompagna Maradona, raccontando la fede della gente in lui, i suoi errori e la sua rivoluzione permanente.
Maradona di Kusturica, le scene da vedere
Gli fa incontrare Manu Chao, che ha scritto su di lui Vida Tombola”, in cui canta “se io fossi Maradona, vivrei come lui”.
Altre scene nella memoria, dal gol all’Inghilterra sulle note rese punk di “God Save The Queen”, fino al Maradona ingrassato che canta “la mano de Dios”, di Rodrigo (una canzone su di lui diventata famosissima in Argentina e in Sud America), in un club di New York davanti alla moglie e le figlie oramai adolescenti.
E prima dell’ennesimo ritornello torna ad un lontano abbraccio, tra Maradona giovane e bellissimo, la moglie, le figlie bambine, immersi in una danza. E “tutto il popolo cantò: Marado, Marado”, con di sottofondo le bimbe che battono le mani a tempo, gridando “Diego, Diego”.
Kusturica intervista e tratteggia il campione, il rivoluzionario, l’uomo caduto che non riesce a controllare chili e pulsioni divisive. Tutto Maradona, con potenza espressiva e rispetto. Non solo la sua fragilità: con sguardo analitico cerca anche di indagarne il mito, con la “Chiesa Maradoniana” che ne celebra le gesta, religione moderna e pagana, ma fortemente monoteista. Dios c’è, ed è Diego Armando Maradona.
Non può mancare Napoli: le telecamere parlano del suo ritorno nella città che ne ha fatto un simbolo di rivalsa contro il Nord potente e tirannico (nel calcio rappresentato dallo strapotere Juventus) da parte del Sud bistrattato, popolare, lasciato solo: “c’era la netta sensazione che il Sud non potesse vincere contro il Nord. Noi siamo andati a Torino e gli abbiamo fatto 6 gol. Sai che vuol dire, una squadra del Sud che fa 6 gol all’Avvocato Agnelli?”.
Diego Armando Maradona si è fatto carico della fede di un popolo intero, che lo acclama come un eroe, salta sulle macchine per lui, lo rincorre, lo vuole toccare, baciare, ringraziare.
Disarmante la sincerità sul suo rapporto con la cocaina, con gli occhi luminosi Maradona racconta la sua passione politica, il suo rapporto con Fidel Castro, il padre della rivoluzione cubana, mostrando il tatuaggio enorme di Ernesto ‘Che’ Guevara sul braccio destro. Kusturica riesce a trasmettere con efficacia il grido di un uomo e di un dio alla sua partita di addio: “la pelota no se mancha”, la palla non si sporca, in una considerazione dello stesso Maradona, dura e adamantina: “Segnare un gol davanti a centomila persone come quello contro l’Inghilterra per me era la normalità, era il mio gioco, era la mia vita. Quando scendevo in campo era tutti voi e potevo parlare con voi, come uno di voi. Quando passavo la linea di metà campo, comandavo io… Ma che giocatore vi siete persi! Avrei potuto fare molto di più, ma io sono la mia stessa colpa. E non posso rimediare”.