Gheddafi del Perugia, ma che fine ha fatto?
Nel 2003/2004 arriva l’annuncio: il Perugia tessera Saadi Gheddafi, terzo figlio del leader e dittatore libico Muʿammar Gheddafi. La notizia genera un po’ di scalpore, ma non troppo: Luciano Gaucci, il vulcanico patron del Grifone, non è nuovo a trovate di marketing o ad acquisti che generano hype o sorpresa. Ha già portato in Italia Hidetoshi Nakata, trequartista giapponese che in Italia ha poi avuto un discreto successo (tra le altre cose ha contribuito in maniera determinante allo Scudetto della Roma) e Gheddafi nel calcio italiano è già piuttosto inserito.
Ha investito in altre squadre, nella Roma, nella Juventus e nella Triestina tramite il Libyan Arab Foreign Investment Company (difatti è già al tempo proprietario dell'azienda petrolifera Tamoil, che ha il 7% della Roma e il 33% della Triestina) e in generale è appassionato di questo sport.
Trequartista, come annuncia lui nella lussuosa villa dei Gaucci, in un esclusivo evento di presentazione, contorniato da 30 guardie del corpo, è un calciatore professionista, Gheddafi è stato anche presidente della federazione calcistica del suo paese e capitano della nazionale (anche se il ct italiano Scoglio, alla guida della Libia, non lo convocherà mai, cosa che gli costa l’esonero).
Il colpo è chiaramente poco di natura tecnica, molto di tutto il resto: Gheddafi al Perugia è forse impronta chiara del potere libico e dei legami tra l’ideologo della rivoluzione libica e il Belpaese, molte volte sottolineato, in vari modi, alcuni più eclatanti di altri, anche dai capi di stato tra gli anni ‘90 e 2000.
Gheddafi al Perugia: una non storia
Quella di Gheddafi a Perugia è una non-storia calcistica, in un certo senso. Non ha lasciato il segno con la maglia rossa del Perugia: ha giocato di fatto solo 13 minuti, che però non sono di certo casuali. Gheddafi è sceso in campo quell’unica volta contro la sua squadra preferita, di cui è investitore, la Juventus: viene marcato da Zambrotta - senza grandi patemi - e gioca quello scampolo di match. Dopo una panchina - nel match contro la Reggina - viene squalificato per 3 mesi: non passa il controllo anti-doping.
In una recente intervista, il suo compagno di squadra al Perugia, Bothroyd, altra meteora, ne traccia un ritratto comunque gentile: “Era scarso, non era bravo. Però aveva quote del club, gli piaceva il calcio e si allenava con noi. Era un miliardario e andava ammirato perché sudava con noi ogni giorno. E poi è stato grazie a lui che ho conosciuto mia moglie a un compleanno. Ho conosciuto una persona corretta e gentile: chiedeva consigli sulle punizioni al telefono a Maradona e come personal trainer aveva Ben Johnson”.
In Serie A vestirà - per così dire - anche altre maglie: giocherà una partita con l’Udinese, e una con la Sampdoria. In tutti e due i casi si segnalerà come giocatore di livello inadeguato al massimo campionato italiano - che in quegli anni era il migliore a livello europeo, e forse nel mondo - e in generale per le sue scorribande notturne e la sua vita lussuosa. A Udine riserverà un piano del suo hotel per il suo cane (con tanto di letto a baldacchino, come ricorda la Gazzetta dello Sport, con una certa ironia), porta spesso i suoi compagni a Parigi in voli privati, e si fa ricordare per alcuni feste particolarmente disinibite, su più livelli. Non proprio una vita da sportivo.
A Genova, con la maglia della Samp, di nuovo vita sregolata e poco calcistica: sulla costa ligure le sue note feste vengono ancora ricordate, di certo ne sanno qualcosa all’Excelsior, dove soggiorna, visto anche il buco di migliaia di euro lasciato dal rampollo Gheddafi.
Il padre, dopo avergli intimato di tornare in patria, gli blocca tutte le carte di credito. Saadi Gheddafi è costretto quindi a tornare a casa, il buco in bilancio dell’hotel rimane, in parte per ovviare alle perdite la magistratura dispone - dopo avergli tolto i sigilli - che la struttura venga risarcita col suv del principe libico, rimasto per anni nel parcheggio, abbandonato.
Che fine ha fatto Gheddafi?
La carriera calcistica di Gheddafi finisce travolta dalla rivoluzione libica, uno dei molti risvolti del movimento panarabico denominato “Primavera araba”. Le milizie ribelli, dopo mesi di lotte, catturano, seviziano e uccidono il padre,e detengono a lungo Saadi, con numerose testimonianze di abusi e torture subite in lunghi mesi di prigionia.
Viene arrestato nel 2014 - dopo una fuga in Niger - per crimini commessi contro i manifestanti durante la Primavera araba 3 anni prima, nel 2011 (le ribellioni vennero inizialmente represse con brutalità dal clan Gheddafi) e per l’uccisione nel 2005 dell’allenatore Bashir al-Rayani, accusa da cui è stato assolto in appello nel 2018, dopo lungaggini processuali, brutali torture (anche riprese in video) da parte delle milizie islamiche e una lunga detenzione. Ora è libero - grazie alla sentenza della Corte di appello di Tripoli - bisognerà seguire se seguirà il suo fratello maggiore Saif: si candida alle elezioni presidenziali, Saadi potrebbe seguirlo e appoggiarlo insieme al resto del clan famigliare dei Gheddafi.