Nel mondo del calcio, da sempre, esiste un gesto atletico che è in grado di eccitare il pubblico quasi quanto un gol: il dribbling. Da Garrincha a Neymar, sono tantissimi i calciatori che hanno inventato giocate impensabili, che hanno lasciato di sasso i tifosi e l’avversario che l’ha subita per la prima volta. 



Alcune di queste finte sono diventate talmente iconiche da avere un nome proprio, che spesso viene associato al calciatore che l’ha eseguita per primo. In Italia, Taddei e l’Aurelio sono forse il binomio tra calciatore e dribbling più immediato che ci viene da fare quando si tocca un tema del genere. Ecco perché oggi ne approfondiremo la sua esecuzione e le sue origini. 



Che cos’è l’Aurelio di Taddei



È il 18 ottobre 2006, quando la Roma è ospite dell’Olympiakos per la terza partita del Gruppo D di UEFA Champions League. La formazione di Spalletti, trascinata da un Francesco Totti che al termine di quella stagione verrà premiato con la Scarpa d’Oro, vola in Grecia per vincere e prendersi il primo posto a punteggio pieno in un girone in cui ha già sconfitto Shakhtar Donetsk e Valencia. La sfida viene decisa da un gol di Simone Perrotta al 76’ di gioco, ma l’highlight più ricordato di quella partita avviene poco prima della rete giallorossa, quando Taddei esegue l’Aurelio sotto i riflettori del calcio internazionale.

 

 

Il brasiliano, fermo vicino al vertice sinistro dell’area di rigore avversario, viene avvicinato da Zewlakov. A quel punto avrebbe due soluzioni: passarla indietro a un compagno o provare a prendere il fondo del campo per tentare un cross. Invece no, Taddei tiene fermo il piede d’appoggio a terra (il sinistro) mentre con l'interno del piede destro sposta la palla dietro la sua gamba per poi farle cambiare direzione con l’esterno. Effettua una specie di elastico (celebre giocata di Ronaldinho) invertito che passa dietro la sua gamba: una finta dal coefficiente di difficoltà altissimo, che infatti viene ripreso e riportato da tutte le televisioni del mondo. 



Rodrigo Taddei quella finta, poi, l’ha eseguita in pochissime altre occasioni, ma l’unico Aurelio che oggi viene ancora ripreso e ricordato sui giornali e sui social è sempre quello visto contro l’Olympiakos in Champions League. Quella giocata è stata talmente tanto condivisa che anche di recente è stata riportata alla luce da un altro fenomeno del dribbling come Neymar. La sua versione, però, sembra comunque più rudimentale di quella dell’ex calciatore della Roma. 

 

 

Taddei e il dribbling Aurelio: perché si chiama così?



Il motivo per cui il dribbling più celebre di Rodrigo Taddei si chiama Aurelio è stato spiegato proprio dal calciatore stesso: il nome è ispirato ad Aurelio Andreazzoli, che nella stagione 2006/07 era un collaboratore di Luciano Spalletti. Il calciatore brasiliano ha scelto di dedicare il nome della finta all’ex allenatore di Genoa ed Empoli perché fu lui stesso a incoraggiarlo ad effettuarla in una gara ufficiale. 




Andreazzoli era rimasto folgorato da quella giocata, che Taddei provava spesso in allenamento. Lui lo sfidò a replicarla e il brasiliano la mise in mostra addirittura sul palcoscenico della Champions League. Le origini dell’Aurelio, comunque, arrivano da lontano: Taddei cominciò a provare questa giocata in Brasile, quando giocava sui campi di futsal con la maglia del Palmeiras. Passando al calcio a 11 l’ha perfezionata per poi eseguirla la prima volta in assoluto con la maglia del Siena in una partita contro la Sampdoria. Quella volta, però, non se la ricorda nessuno perché appena effettuato il dribbling Taddei è stato falciato da una scivolata.