Juan Manuel Fernández, noto come "Lobito", è un nome familiare per gli appassionati di basket italiano. Playmaker argentino, classe 1990, ha costruito una carriera solida tra Serie A e Serie A2, diventando un punto di riferimento per squadre come Caserta, Brescia e Trieste. Ma dietro il talento e la visione di gioco, si nasconde una storia di fragilità e rinascita: quella di un atleta che ha affrontato la depressione, si è fermato e poi è tornato, più consapevole e determinato, fino a diventare mental coach per aiutare altri sportivi.

 

La carriera di Juan Fernandez: da Mar del Plata all’Italia

 

Nato a Mar del Plata, in Argentina, Fernández è figlio d’arte: suo padre Gustavo, detto "Lobo", è stato un noto cestista. Il soprannome "Lobito" (piccolo lupo) lo accompagna sin da giovane. Dopo l’esperienza universitaria negli Stati Uniti con i Temple Owls, Juan approda in Italia nel 2012, iniziando un percorso che lo porterà a vestire le maglie di numerose squadre italiane.

 

A Trieste, dove arriva nel 2017, vive una delle fasi più stabili della sua carriera, diventando un leader in campo e fuori. Il suo stile di gioco è caratterizzato da intelligenza tattica, visione periferica e capacità di gestire i ritmi della partita. Ma dietro l’apparente serenità, qualcosa iniziava a incrinarsi.

 

'Lobito' Fernandez e il buio della depressione 

 

Nel 2020, mentre è ancora a Trieste, Juan "Lobito" Fernández comincia a sentire un peso crescente. In un’intervista racconterà: "L’allarme più grande è arrivato quando preferivo infortunarmi per non dover affrontare gli allenamenti e le partite." La depressione si insinua nella sua quotidianità, rendendo ogni gesto, anche il più semplice, un ostacolo insormontabile.

 

"Non sapevo come tirarmi fuori dalla mia stanza. Come se fossi in mezzo alla festa con tutti che ti urlano, ma tu hai bisogno di calma", sono le sue parole più toccanti.

 

Malgrado il forte sostegno della moglie, Fernández decide di fermarsi, lascia il basket e torna in Argentina con la famiglia. Lì, lavora per un’agenzia di viaggi e si avvicina a un’accademia di basket locale, dove diventa viceallenatore e guida il pullman per portare i ragazzi alle partite.

 

Attraverso questa esperienza, riscopre la passione per il gioco e matura l’idea di tornare a giocare.

 

Nel 2023, dopo quasi tre anni di assenza, rientra in Italia e firma con l’Umana Reyer Venezia. Per stessa ammissione del giocatore, la Reyer non ha fatto una scelta facile, prendendo un atleta fuori dal giro da due anni. Ma la determinazione di “Lobito” convince la dirigenza: Fernández può tornare a sentirsi un giocatore professionista.

 

Sport e depressione: un tabù da abbattere

 

La storia di Fernández non è un caso isolato. Molti atleti di alto livello hanno affrontato la depressione durante la carriera agonistica.

 

Jamie Baker, tennista britannico, si è ritirato nel 2013 dopo aver sofferto di depressione e disturbi mentali che avevano bloccato la sua carriera già nel 2008.

 

Kelly Catlin, ciclista statunitense, vincitrice di tre titoli mondiali consecutivi e medaglia d'argento alle Olimpiadi di Rio 2016, si è tolta la vita nel 2019 dopo una commozione cerebrale che aveva innescato una grave depressione.

 

Questi esempi dimostrano quanto sia cruciale affrontare il tema della salute mentale nello sport. La pressione, le aspettative e l'idea di dover essere sempre al massimo possono portare a situazioni di grande sofferenza psicologica.

 

Fernández, con la sua esperienza, ha reso evidente che lo sport può essere una fonte di gioia e realizzazione, ma è fondamentale riconoscere e affrontare le difficoltà emotive che possono emergere lungo il percorso.

 

Juan Fernández questo lo ha imparato a sue spese e, diventando mental coach, ha deciso di aiutare non solo sé stesso, ma anche altri atleti a gestire le difficoltà mentali legate alla pratica sportiva.